00 24/07/2008 12:15

Le correnti contestatrici minano gli equilibri vaticani

L’ala “progressista” agita il pontificato

di Lo Svizzero

Aveva le sue buone ragioni il cardinale pensionato ma non domo Camillo Ruini quando parlava, fuor dei denti, nel suo saluto di addio alla diocesi pontificia, di vescovi indaffarati in faccende a dir poco non precisamente conformiste. Insomma, per dirla alla romana, dirazzavano. Forse non intendeva alludere soltanto a taluni prelati, ma anche agli riemergenti preti progressisti e perfino, addirittura, a qualche cardinale. Come per esempio il gesuita Martini e anche il suo successore all’Arcivescovado di Milano, Dionigi Tettamanzi. Aveva visto lungo l’ex “vicario der Vicario” quando era al timone dell’episcopato italiano, non sempre pedissequamente inclini verso le indicazioni “delli superiori” di conduzione ecclesiastica. E’ bene ricordare che da qualche tempo, a dirla tutta, serpeggia una sorta di contestazione strisciante che arriva fino al punto di ignorare le prescrizioni, debitamente aggiornate e sempre tassative, del catechismo cattolico, recentemente riveduto, in cui si elenca una catena di nuovi peccati, che non trovano coscienzioso riscontro in non pochi ecclesiastici del nuovo millennio.

Così c’è chi sostiene che pare di essere ripiombati nel periodo calamitoso del postconcilio, quando il progressismo clericale faceva da padrone non soltanto nei centri teologici qualificati, ma perfino dietro le mura vaticane, la cui ombra sembrava perfino proteggere tutti i tipi di contestazioni, anche quelli più estremisti. Non è che, con quelle levate di scudi sinistri, si dovesse dire in quei tempi turbolenti, magari parafrasando Shakespeare, che “c’è del marcio in Vaticano”; ma certo eravamo allora finiti in qualcosa di assai simile alle sabbie mobili clericali. Oggi si assiste a qualcosa di analogo: sotto la superficie pressoché immota del conformismo ecclesiastico, scattano e si diffondono correnti contestatrici e perfino polemiche a dir poco inquietanti. Di fatti gli ultraprogressisti sono tornati in forze e a macchia di leopardo, e sgomitano alla grande infischiandosene delle impostazioni dottrinarie di coloro che sono preposti a indirizzarle sul retto tracciato, disciplinandole. Nossignori, essi molto semplicemente non ci fanno caso e dunque non stanno lì a dargli retta, scandalizzando i buoni cattolici laici con estrema spregiudicatezza, e considerano con una certa comprensione un tantino pelosa perfino i matrimoni gay. Oppure cambiano disinvoltamente bandiera come ha fatto l’arcivescovo romano Moretti, quando a Lourdes ha fatto sventolare davanti alla grotta di Massabielle un bandierone del pacifismo sinistrese ad ogni costo.

Vengono poi i gesuiti con le loro critiche contro i “benpensanti”, che peraltro giustamente si turbano per le sfilate dell“orgoglio omosessuale”, mentre i paolini attaccano con inusitato livore i governanti italiani “colpevoli” di censire i rom. E’ tutto un fiorire di insorgenze negative che ribollono inaspettate nel grande calderone schiumoso del mondo ecclesiastico, con ripercussioni avverse nell’orbe cattolico italiano. Ma c’è una legge fisica che prescrive come ad un’azione corrisponda una reazione uguale e contraria. E’ esattamente quello che va manifestandosi nel pianeta dei credenti: infatti i tradizionalisti, sempre vigili, sono scesi in campo cominciando a fare muro contro l’iperprogressismo riemergente. Anche i non pochi periodici dei vari movimenti laicali cattolici si schierano col viso dell’arme contro le intemperanze di questo fronte sinistro, che trova sempre una sponda favorevole nei giornali, nelle riviste e in tutte le iniziative editoriali di stampo veteromarxista. Il fronte della controffensiva va dagli organi di Comunione e liberazione a quelli dell’Opus Dei e così via elencando fino al periodico dei docenti universitari ultracattolici, finanche sostenuti da fior fiore di teologi, che si stampa in quel di Udine e dal titolo apodittico di “Istaurare omnia in Christo”, il quale bacchetta senza tanti complimenti preti progressisti e laici sinistri.

Vero è che in questo schieramento manca il quindicinale “Sì sì, no no” degli epigoni italiani dello scomunicato monsignor Lefebvre; al suo posto però si è installata una pubblicazione gestita da sacerdoti tradizionalisti con il titolo anch’esso emblematico di “Sodalitium”, ancora più intransigente dei lefebvriani. Questo è, dunque, l’inquietante panorama di un orbe cattolico in subbuglio che turba la Curia vaticana e la gerarchia ecclesiastica italiana. Per costoro è come stare seduti sulle pendici di un vulcano prossimo all’eruzione: quelle sono avvisaglie assai temibili tanto da terremotare la pax della Santa Sede, ma soprattutto evidenziano una situazione davvero preoccupante almeno agli inizi che un papa come Ratzinger prima o poi dovrà affrontare, bene immaginando quale tipo di reazioni potrebbe provocare. Mala tempora currunt per un pontificato che non si aspettava questo tipo di contrasti.